venerdì 7 dicembre 2007

Il ministro Mussi, riorganizza l'accademia

Il 27 luglio scorso il Ministro dell'Università e della Ricerca, On. Fabio Mussi, ha approvato il decreto riguardante le linee guida per la riprogettazione integrale di tutti i corsi di lauree. Si tratta di un documento che ha dato un’inaspettata accelerazione ai processi di riforma degli Atenei

A cura di Cristina Sanna

On. Mussi ci potrebbe illustrare quali sono gli elementi di novità contenuti nel decreto emanato lo scorso 27luglio e quali saranno le tappe successive per tradurre in pratica gli indirizzi in esso contenuti?
Il decreto punta a riqualificare l’offerta formativa, diminuendo il numero dei corsi di laurea, che è cresciuto in maniera eccessiva almeno in alcuni settori e atenei, e definendo non solo dei "requisiti minimi" (vale a dire, per esempio, che ci sia un certo numero di docenti di ruolo delle materie fondamentali per ogni corso di laurea che viene istituito), ma anche degli indicatori di qualità e degli indirizzi che normalmente dovrebbero essere seguiti nella progettazione. Alle università è garantito un tempo limite di tre anni per il necessario lavoro di revisione e ristrutturazione di tutti i corsi, in modo da coordinare queste operazioni con l’altro decisivo passaggio di riforma, costituito dalla messa in opera dell’ANVUR (l’Agenzia Nazionale per la Valutazione), che analizzerà i risultati e metterà in grado il sistema di orientarsi verso il miglioramento progressivo della qualità della formazione.
Quali strumenti di professionalizzazione, orientamento e formazionepensa di mettere in campo a favore dei giovani perridurre il divario esistente tra università e inserimento nelmercato del lavoro?
Trovare la giusta risposta a questa domanda è una questione decisiva per il nostro paese. Io sono convinto che l’Italia stenti a tenere il passo di altri paesi, a entrare nella società della conoscenza e seguire un solido percorso di sviluppo anche perché nel nostro paese i giovani fanno fatica a entrare nel mondo del lavoro e a portare la loro cultura e il loro entusiasmo all’interno del sistema produttivo.Ma trovare la giusta risposta alla sua domanda non è semplice. In giro ne sento tante, ma sono spesso poco convincenti. Alcune sono francamente sbagliate. Per esempio quella secondo cui igiovani italiani hanno difficoltà a entrare nel mondo del lavoro perché la nostra scuola e la nostra università non li prepara in modo adeguato. Non è così. Il fatto è che il titolo di studio non aiuta i giovani a trovare lavoro. Non come li aiuta in altri paesi, almeno. E se il titolo di studio non aiuta i giovani italiani a entrare nel mondo del lavoro è per unaverità tanto banale quanto dimenticata: il nostro sistema produttivo non domanda – non in quantità sufficiente almeno – lavoro qualificato. Non lo dico io, lo dicono i dati di Unioncamere: la domanda di lavoro qualificato da parte del mondo produttivo è bassa. Più bassa che in altri paesi.
Il 2 agosto è stato siglato, tra lei e il Ministro dell’EconomiaTommaso Padoa-Schioppa, il “Patto per l’Università e la Ricerca”, che stabilisce, tra l’altro, che nel 2008 il 5% del fondo di finanziamento ordinario (Ffo), pari a circa 350 milioni di euro, dovrà essere attribuito agli atenei sulla base di unsistema premiante. L’accordo però affronta un punto delicato:quello di un possibile aumento della contribuzione studentesca. Può dirci qualcosa in merito?
Io e il Ministro Tommaso Padoa-Schioppa abbiamo proposto un patto alle università sulla base di due parole chiave: efficienza e merito. In primo luogo prevediamo di stabilizzare il Fondo ordinario per l’università, che ha una dotazione di circa 7 miliardi di euro, indicizzandolo al costo del personale e all’inflazione, in modo talec he l’università sappia di poter contare su una certa dote. Il 5% delFondo ordinario, pari a circa 350 milioni, potrebbe essere ripartito– ripeto, già dal 2008 – tra le università che ottengono i risultati migliori. In questo modo pensiamo non solo di premiare il merito, ma di stimolare le università a migliorarsi. Abbiamo posto anche dei vincoli alla spesa. L’università che supera il Fondo assegnatole paga pegno. Con una progressiva restrizione del turno-over e, nei casi più gravi, con il commissariamento. In questo quadro le università hanno la possibilità – non l’obbligo – di aumentare le tasse agli studenti fino a coprire un massimo del 25% del Fondo (oggi il limite è del 16%). In pratica il sistema universitario italiano potrà decidere di attingere, attraverso l’aumento delle tasse, a un massimo di circa 700 milioni di euro l'anno. Ma dovranno destinare almeno il 50% di queste entrate ai servizi per gli studenti e al finanziamento delle borse di studio.
On. Mussi, nonostante la frenata alla tendenza di proliferazione delle sedi e dei corsi universitari, nel nostro sistema universitario rimane salda la distinzione tra i percorsi didattici appartenenti alle lauree e quelli relativi alle lauree magistrali (ossia tra le note lauree del nuovo ordinamento e laureedel vecchio ordinamento). Per il mercato del lavoro queste due tipologie formative si equivalgono?
Non ci sono più le lauree del "vecchio ordinamento", ma come in tutti i paesi aderenti al cosiddetto "Bologna process" (una cinquantina,a partire da quelli europei), ci sono le lauree di primo livello e quelle di secondo livello. Per quanto riguarda il mercato del lavoro vale quanto ho detto prima. I giovani laureati italiani trovano maggiori difficoltà a entrarvi rispetto ai giovani laureati in altri paesi non perché è carente l’offerta, ma perché è carente la domanda. Con il decreto sulle "linee guida" si è data una indicazione molto precisa alle Università: occorre rendere più appetibili, comunque, per il mercato del lavoro le lauree di primo livello, provando anche a coinvolgere nella progettazione i soggetti dell’imprenditoriae dei servizi pubblici. Mentre per le lauree magistrali si tratta di puntare a un’alta qualità.
pubblicato su "RomaGiovani"
Settembre 2007

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