martedì 23 giugno 2009

Antes y Después: il giornalismo in Spagna durante e dopo Franco


Un progetto editoriale integrato
Antes y Déspues: il giornalismo in Spagna durante e dopo Franco


Presentazione
Nel Novecento si assiste ad una crescente integrazione fra carta stampata e mass media. Con l'avvento delle nuove piattaforme digitali, uno stesso contenuto può essere trasmesso tramite molteplici canali che offrono contributi differenti a seconda della peculiarità del mezzo utilizzato per la sua diffusione. Una storia narrata può diventare la trama di un film proiettato al cinema e in seguito in televisione. L'integrazione dei media si configura, quindi, come una esigenza imprescindibile, soprattutto da quando il consumer si è frammentato in interessi di nicchia, che solo una molteplicità di canali può soddisfare.
Questa premessa per illustrare le motivazioni che mi hanno spinto a realizzare un progetto editoriale integrato, composto da un libro e dal suo trailer promozionale, il booktrailer, e un documentario che racconta un'epoca sfruttando la multimedialità dei contenuti e la versatilità dei supporti.
Anche l'integrazione dei media segna, dunque, un antes e un después, un prima e un dopo, che fa da spartiacque tra la comunicazione classica e quella non convenzionale, ma con uno stesso filo conduttore: quello che è stato il giornalismo in Spagna durante la transizione democratica.
L'opera editoriale

Abstract (versione italiana)
Indichiamo con Antes y Después i due momenti fondamentali della storia spagnola del ventesimo secolo, la cui linea di demarcazione è rappresentata dalla morte del Generale Francisco Franco, che apre a quella che passerà alla storia come transizione democratica.

In questa tappa i giornali giocarono un ruolo essenziale e, anche nelle decadi successive, furono le voci dei partiti e, in più di un’occasione, permisero di difendere la democrazia minacciata dal terrorismo, dal tentativo di colpo di Stato del 1981 e dai casi di corruzione.

Durante il franchismo i giornali, organizzati in quella che veniva definita stampa del Movimento, costituivano una voce unica e tutti, senza distinzione, appoggiavano il regime, anche grazie alle leggi sulla stampa che impedivano qualsiasi libertà di espressione. Il messaggio giornalistico, nel periodo 1976-1978, alla fine della dittatura franchista, si differenziò e tornò ad essere totalmente libero con la Costituzione nel 1978.

Nella nostra analisi, senza dimenticare alcuni giornali regionali, ci riferiremo principalmente ai quotidiani di maggior peso durante questa fase storica: ABC, caratterizzato per la sua linea preminentemente monarchica, con quasi un secolo di attività giornalistica indipendente, di gran successo presso le famiglie tradizionali; El País, che nacque come società giornalistica già con l’approvazione della Ley de Prensa del 1966, ma che venne alla luce con la sua prima edizione il 4 maggio 1976 diventando, negli anni ottanta, lo strumento di appoggio più importante al governo socialista; El Mundo che si configura come la risposta di destra a El País e sarà la voce del governo di Aznar.
Attraverso gli editoriali e gli articoli di questi quotidiani si disegnerà la storia della Spagna degli ultimi ottant’anni.

Abstract (versione inglese)
With Antes y Después we indicate the two main periods of Spain’s XX Century history. These are defined by the death of Spain’s dictator, General Francisco Franco, which allowed the European country to undergo a democratic transition.

Beginning at that time, newpapers started playing a pivotal role in being the voice of political parties and – in more than one instance – they contributed to defend the newborn democracy from terrorism, an attempted coup in 1981 and several corruption scandals.

During the Francoist regime, newspapers – grouped in what was referred to as “the Movement’s press” – constituted a homogenous voice that backed the dictatorship, also because of the strict press laws limiting freedom of speech.

Between 1976 and 1978, with the end of the regime, Spain’s journalism went back to being free thanks to the 1978 new constitution.

This analysis, which will also include some regional publications, will look at the main newspapers of the time: ABC, a monarchic newspaper with more than a century of independent journalism activity, was very popular among conservative families; El País, which was already born as a journalism enterprise in 1966 thanks to the Ley de Prensa only published its first issue in 1976, becoming the main backer of the socialist government in the 1980s; El Mundo, which became El País’ right wing counterpart, was the Aznar administration’s main supporter.

Spain’s history of the past 80 years will be revisited throughout the articles and op-ed pieces of the previously mentioned news outlets.

Resumen (versione spagnola)
Indicamos con Antes y Despuès los dos momentos fundamentales de la historia del siglo XX en España, cuya línea de demarcación es la muerte del General Francisco Franco, que determina la transición democrática.

En esta etapa, los periódicos desempeñaron un papel esencial y también en la décadas sucesivas fueron las voces de los partidos y sobre todo, en más de una ocasión, defendieron la democracia, amenazada por el terrorismo, por el intentado golpe de Estado en 1981 y por casos de corrupción.

Durante el franquismo los periódicos, organizados en la que se definía Prensa del Movimiento, constituían una voz única y todos, sin distinción, apoyaban el régimen, también gracias a las leyes de prensa, que impedían cualquiera libertad de expresión. El mensaje periodístico durante el periodo de 1976-1978, al terminar la dictadura franquista se transoformió, y volviò totalmente libre, con la Consitución en 1978.

En nuestro análisis, sin olvidar algunos periódicos regionales, se escogieron como referencia dominante a los periódicos de mayor influencia durante esa etapa: ABC, caracterizado por su línea eminentemente monárquica, con casi un siglo de ejercer un periodismo independiente, de gran arraigo entre las familias más tradicionales; El País, que nació como una empresa periodística a raíz de la apertura de la Ley de Prensa de 1966 y salió a la luz pública el 4 de Mayo de 1976 y será, en los años ochenta, el instrumento más importante de apoyo al gobierno socialista; El Mundo que se configura como la respuesta de derecha a El País y será la voz de Aznar.

A través de los editoriales y de los artículos de esos periódicos, se trazarà la historia de España del los últimos ochenta años.

Résumé (versione francese)
Avec Ante y Después nous voulons indiquer deux moments crucials de l’histoire espagnole du XXème siècle. La ligne de démarcation dans l’histoire de l’Espagne est symbolisée par la mort du Général Francisco Franco, événement qui ouvres la célèbre transition démocratique.
Pendant ce moment les journaux jouaient un rôle essentiel et puis, dans les décades suivantes, ils étaient les représentants des partis. Dans plus d’une occasion ils réussissaient à défendre la démocratie qui avait été menacée par le terrorisme avec le tentative de coup d’Etat du 1981 et avec des cas de corruption.
Pendant le franquisme les journaux, qui étaient réunis dans la Presse du Mouvement, représentaient une seule voix qui soutenait le régime grâce aussi aux lois sur la presse qui ne permettaient aucun liberté d’expression. A la fin de la dictature franquiste, 1976-1978, le message journalistique se différenciait et retournait à être complètement libre avec la Constitution du 1978.
Dans cette étude nous traiterons principalement les quotidiens les plus importants de cette période, sans oublier certains journaux locaux. C’est-à-dire: ABC, caractérisé par sa nuance monarchique, avec environ un siècle d’activité indépendante de succès chez les familles les plus importantes; El País, qui est déjà né avec l’approbation du 1966 de la Ley de Prensa, mais qui a publié son premier édition le 4 mais 1976, devenant dans les années ‘80, l’instrument le plus important du mouvement socialiste; El Mundo qui se présente comme une réponse de droite au El País et qui serait la voix du gouvernement de Aznar.
Grâce aux éditoriaux et aux articles de ces quotidiennes, nous avons cherché à résumer les dernières 80 années.

Dalla promozione del libro alla lettura, investimenti e criticità.




«Lo Stato italiano spende per la cultura lo 0,28% rispetto al totale delle risorse disponibili in bilancio. Negli altri paesi si spende in media l’1%. Per la cultura in Italia viene speso circa 1/3 rispetto alla media europea (Germania, Francia, Inghilterra Spagna, etc), nonostante sia il Paese con più premi letterari al mondo…».

Mario Resca (Consigliere MiBAC); fonte: Matrix "Patrimoni & Cultura" del primo aprile 2009.

I tagli alla cultura

Come anticipato dalla manovra d’estate (decreto legge 112/2008, convertito con modifiche nella legge 133/2008), la Finanziaria 2009, approvata il 22 dicembre scorso (legge 203/2008), ha confermato la forte riduzione alle dotazioni del MiBAC nel triennio 2009-2011 pari a circa il 30% per anno. I risparmi ottenuti saranno pari a 228 milioni di euro per il 2009, 240 milioni di euro per il 2010 e 422 milioni di euro per il 2011.

Le risorse dedicate alla promozione del libro.

Dai dati riportati nel bilancio consuntivo Mibac, lo Stato ha stanziato a sostegno della promozione del libro 21.477.314 euro nel 2005; nel 2006 15.186.639 euro e 20.097.260 euro nel 2007 . Le case editrici hanno invece investito in pubblicità 537.789 euro nel 2005; 483.017 euro nel 2006 e 450.424 euro nel 2007 (fonte Nielsen). Oggi sono diversi gli interventi messi in campo con l'obiettivo di promuovere la lettura: eventi dedicati al libro, tra i quali nuove manifestazioni ad hoc oltre a edizioni speciali di eventi annuali come la Fiera internazionale del libro, il Torino Film Festival, il Festival internazionale letterature e il Premio Strega, etc.

Le iniziative e gli eventi a livello mondiale

La giornata Mondiale del libro viene celebrata in tutto il mondo il 23 aprile. La data, rappresenta un omaggio a tre grandi autori la cui vita si spense per una singolare coincidenza proprio quel giorno nel 1616: William Shakespeare, Miguel de Cervantes Saavedra e Garcilaso de la Vega. Le origini risiedono nella festa di San Giorgio che, da oltre settant'anni, rappresenta una delle giornate più importanti per la Catalogna. In tutta la Regione, ma specialmente a Barcellona, le strade sono invase da bancarelle di libri e chioschi di rose, per permettere a uomini e donne di compiere un rituale che vede gli uomini regalare alle donne una rosa e le donne ricambiare o anticipare il dono con un libro. Torino è stata proclamata dall'UNESCO Capitale Mondiale del Libro per il periodo 2006-2007, con l'appoggio di Roma. Le precedenti capitali erano state Madrid, Alessandria d'Egitto, New Delhi, Anversa e Montréal, Bogotà, Amsterdam. Quest'anno, in occasione della Giornata Mondiale del libro, l'Italia esce fuori dal coro e celebra la XI edizione della Settimana della Cultura (18-26 aprile) con mostre, convegni, laboratori, visite guidate ai musei e biblioteche, proiezioni cinematografiche, nell'ambito della quale il libro non viene contemplato.


Stralcio intervento di Cristina Sanna, tenutosi presso il corso di LM in Editoria, Giornalismo e Comunicazione multimediale, Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Tor Vergata (Roma) il 29 aprile 2009.




mercoledì 10 giugno 2009

Il sessismo linguistico: un contributo collettivo al dibattito


Mi è appena pervenuta una lettera firmata da diverse lettrici e lettori, che mi pare meriti di essere pubblicata qui, in tutta evidenza, e non nell’area riservata ai commenti. Si aggiunge al commento di un’altra lettrice (Ivana Palomba) al mio precedente intervento e contribuisce al dibattito sul sessismo linguistico che in quell’intervento mi auguravo potesse avviarsi e al quale, spero, saranno ancora molte e molti a partecipare.
Massimo Arcangeli

Alle redattrici, ai redattori, alle lettrici e ai lettori di Repubblica
Vogliamo invitarvi a riflettere su un argomento a proposito del quale i mezzi di informazione possono avere una grande influenza. Negli ultimi giorni, in due importanti inserti su questo giornale, sono apparse espressioni poco rispettose della “parità di genere”. Il primo è il blog del professor Arcangeli, che, interpellato da una professionista su come usare i titoli professionali al femminile, consiglia espressioni come “la ministro”; il secondo, ancora più incredibilmente, è l’appello delle donne “Per una Repubblica che ci rispetti”, le cui firmatarie, cittadine illustri di questo Paese, si definiscono: sindaco, deputato, commendatore, e sono tutte donne.
Ora, la grammatica italiana è molto chiara: i nomi in –o formano il femminile in –a. Ragazzo/ragazza, maestro/maestra. Direste mai il maestra? O il casalinga? O l’uomo infermiera? E quindi: ministra, avvocata, sindaca, deputata. Se a qualcuno ‘suona male’, vuol dire che c’è un pregiudizio, uno stereotipo che sta facendo capolino. Non è il vocabolo ad essere strano, è il suo significato. La grammatica parla chiaro, quindi il problema non è la forma, ma ciò a cui essa rimanda. Non siamo abituati a queste parole al femminile perché le donne non hanno mai ricoperto quelle posizioni. Ora che le ministre, le avvocate e le architette ci sono, usiamo le parole giuste, perché l’eccezione del vocabolo (un nome maschile con un articolo femminile) richiama l’eccezionalità del significato: finché useremo espressioni anomale per indicare le donne, la loro presenza in posizioni di prestigio sarà sempre percepita e perpetuata come un’anomalia.
E non basta: sappiamo bene che se la sindaca suona male, le sindache suona malissimo, ma ciò non vuol dire che sia sbagliato; anzi, è la conferma di quanto appena detto: se la sindaca è rara e si fa fatica a trovarne una al singolare, figuratevi quante possibilità ci sono di usare questo nome al plurale! E meno si usa, più suona strano.Quindi, coraggio: cominciamo ad usarlo!
La scelta delle parole è importante perché la lingua in cui ci esprimiamo veicola il nostro pensiero. Non siamo razzisti, e le nostre parole sono coerenti col nostro pensiero. Non siamo nemmeno sessisti: e non dovranno esserlo nemmeno le nostre parole!
Chiamereste mai “negro” un vostro conoscente di colore? E la persona che vi pulisce casa, la chiamereste “serva/o”? E il netturbino, che tutte le mattine si sobbarca l’ingrato compito di pulire le strade della città, lo chiamereste monnezzaro? È chiaro che no, perché abbiamo sviluppato la consapevolezza che questi vocaboli sono portatori di pregiudizi e li abbiamo coscientemente, volutamente sostituiti con altri più rispettosi, grazie anche all’aiuto delle istituzioni e dei mezzi di informazione, tra cui la stampa, appunto.
Da oltre due decenni studiose e studiosi italiani affrontano il problema del sessismo linguistico e concludo con le parole di una di loro, Alma Sabatini: “Quando ci si vergognerà altrettanto di essere considerati “sessisti” molti cambiamenti qui auspicati diventeranno realtà “normale”.
I cambiamento possono essere incoraggiati, se si crede in essi: questa lettera è il nostro piccolo contributo.

Post scriptum: per i dubbi linguistici relativi al femminile, esiste un ottimo strumento: Il genere femminile nell’Italiano di oggi: la norma e l’uso, realizzato da Cecilia Robustelli, docente di Linguistica Italiana all’Università di Modena e Reggio Emilia, su incarico della Direzione Generale per la Traduzione della Commissione Europea nel 2007.

Sottoscritto da un gruppo di lettrici e lettori diversamente impegnati nei campi dell’insegnamento scolastico e universitario, della ricerca scientifica, della cultura e della comunicazione:

Raffaella Anconetani, Docente di italiano e latino presso il Liceo Scientifico di Roma
Rossana Annacondia , Docente di materie letterarie, latino e greco – Liceo “Virgilio” di Roma
Maria Antonietta Berardi, Dirigente T. A. presso il CNR-IBF
Francesca Brezzi, Professoressa di Filosofia morale, “Roma Tre”
Marcella Corsi, “Sapienza” Università di Roma
Livia De Pietro, Prof.ssa di Lettere e critica letteraria
Aureliana Di Rollo, Prof.ra Liceo “Foscolo” di Albano L.
Maria Pia Ercolini, Docente di Geografia, IIS “Falcone” di Roma
Renata Grieco Nobile, Professoressa, Scuola Media di Riano
Alessandro Gentilini, Professore a contratto all’Università “Sapienza” di Roma
Simona Luciani, Prof.ra, Liceo “J.F.Kennedy” di Roma
Nadia Mansueto, Docente di Italiano e Latino al Liceo Classico “Socrate” di Bari
Rosanna Oliva, Presidente di “Aspettare stanca”
Maria Nocentini, Docente di Italiano e Latino al Liceo “Joyce” di Ariccia (Roma)
Cristina Sanna del Com. Pari Opportunità dell’Università Tor Vergata
Maria Serena Sapegno, Prof. di letteratura italiana ‘Sapienza’ Università di Roma
Ilaria Tanga, Radiologa, Ospedale Civile “Paolo Colombo” di Velletri
Maria Cristina Zerbino, Docente di materie letterarie, latino e greco, Liceo “Montale” di Roma

martedì 12 maggio 2009

Flexsecurity: un modello di lavoro pensato ad hoc per le nuove generazioni

Una proposta moderna per la promozione del lavoro stabile

Approda in Senato il progetto di legge proposto da Pietro Ichino (d.d.l. n. 1481/2009) per la transizione a un regime di flexsecurity: una proposta normativa moderna sull’intero spettro della vita lavorativa, articolato secondo le vere necessità di un mercato che non privilegi più soltanto gli iper-protetti, ma sappia essere amico anche dei lavoratori flessibili. Insomma, un buon progetto. Nell’ultimo anno la proposta ha fatto, politicamente, molta strada, tanto che la lista di coloro che si sono pronunciati a suo favore è abbastanza estesa.
Il progetto, cui il disegno di legge si ispira, rientra fra quelli comunemente indicati con l’espressione “contratto di lavoro unico a stabilità crescente” e ha per obiettivo l’introduzione in Italia della flexsecurity, quel modello da tempo applicato con successo soprattutto in paesi del nord Europa. Da quando, nel 1997, si iniziò a parlare di riforma dell’articolo 18, il piano si é andato molto affinando. In sostanza il nuovo contratto di lavoro é per tutti a tempo indeterminato; in caso di licenziamento per motivi non disciplinari (e quindi non soggetto a controllo giudiziale) le imprese devono versare al lavoratore una cifra pari a una mensilità per ogni anno di anzianità di servizio. Il disegno prevede, infatti, per ogni nuova assunzione un periodo di prova di sei mesi: superato questo termine, il licenziamento per mancanza grave del lavoratore e il licenziamento discriminatorio restano soggetti al controllo giudiziale, con applicazione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Invece è sottratto al controllo giudiziale - salvo che il lavoratore abbia raggiunto i 20 anni di anzianità di servizio - il licenziamento per motivi economici od organizzativi, che resta a carico dell'azienda. In questo caso, l’impresa dovrà, dunque, indennizzare il lavoratore di un danno in cui confluiscono due componenti: quello normalmente conseguente all’interruzione del rapporto, consistente nella dispersione di professionalità specifica e nella perdita di rapporti personali con colleghi e interlocutori esterni all’azienda, e quello eventuale correlato al periodo di disoccupazione conseguente alla perdita del posto.
Il lavoratore licenziato deve sottoscrive un “contratto di ricollocazione” in virtù del quale percepisce - finché perdura la sua disoccupazione - un’indennità pari al 90% dell’ultima retribuzione per il primo anno, dell’80% per il secondo, del 70% per il terzo e del 60% per il quarto. La chiave di volta contenuta nella proposta é l'istituzione del consorzio paritetico tra aziende e sindacati: esso eroga il trattamento di disoccupazione e un servizio di assistenza intensiva per la ricerca di una nuova occupazione, con corsi di formazione e riqualificazione e attività di outplacement, a cui il lavoratore è obbligato a partecipare secondo un orario settimanale analogo a quello di lavoro praticato in precedenza. Il lavoratore può in qualsiasi momento, anche senza preavviso, rinunciare al proprio trattamento di disoccupazione, come allo stesso modo l’ente può recedere dal contratto qualora il lavoratore sia inadempiente oppure abbia rifiutato in modo ingiustificato un’opportunità di lavoro o iniziative di riqualificazione che gli siano state proposte.
Il finanziamento dell’ente bilaterale erogatore del trattamento economico e dei servizi ai lavoratori licenziati è interamente a carico dell’impresa o gruppo di imprese firmatarie del contratto istitutivo, le quali potranno peraltro avvalersi dei contributi del Fondo Sociale Europeo per le attività di informazione, orientamento e riqualificazione professionale mirata, nonché per quelle di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione. La determinazione dell’entità del contributo a carico delle imprese è disciplinata dallo Statuto dell’ente, il quale è vincolato tuttavia a prevedere un meccanismo bonus/malus che premi le imprese più capaci di praticare il manpower planning o comunque una gestione del personale che eviti i licenziamenti, e determini, viceversa, una penalizzazione delle imprese le cui politiche del personale portino a un più frequente ricorso ai licenziamenti. Il finanziamento dell’ente esonera, tra l'altro, l’impresa dalla contribuzione all’Inps per l’assicurazione contro la disoccupazione.
Il nuovo regime si applica a tutti i nuovi assunti nelle imprese interessate ad acquisire questa nuova flessibilità facendosi loro carico della sicurezza, mentre i lavoratori già in forza possono decidere a maggioranza di aderirvi.
Cristina Sanna

giovedì 5 marzo 2009

In arrivo i bandi regionali per una buona occupazione




Intervista all'Assessore al Lavoro, Pari opportunità e Politiche Giovanili della Regione Lazio, Alessandra Tibaldi

Assessore Tibaldi, nei giorni scorsi avete pubblicato un bando mirato a contrastare il lavoro irregolare. Ci potrebbe illustrare nel dettaglio in cosa consiste?
Il bando è destinato a tutti quei soggetti disoccupati, precari o svantaggiati, che rischiano, a causa della crisi che stiamo vivendo, di scivolare in un'area di lavoro nero o sommerso. Il bando però si concentra soprattutto sulla prevenzione. Lo scopo è quello di eliminare situazioni di lavoro non tutelate e non protette, in attuazione della Legge Regionale n. 16 del 2007, appunto, di lavoro nero e sommerso e nell'ambito di un quadro di interventi previsti da un pacchetto di fondi - comunitari, nazionali e regionali - stanziati per contrastare il fenomeno e rilanciare l'occupazione. Quindi, attraverso il bando verranno messi a disposizione dieci milioni di euro. Tali risorse, saranno gestite da un soggetto esterno alla amministrazione, il cosiddetto Organismo Intermedio della Sovvenzione globale, che agirà sulla base di indirizzi operativi forniti dal nostro Assessorato. I lavoratori, la cui assunzione potrà essere accompagnata dall'incentivo, dovranno essere nelle condizioni di svantaggio indicate dal regolamento comunitario 800/2008, ossia essere disoccupati da almeno sei mesi, con bassa scolarizzazione, che vivono da soli o con carichi familiari e "over 50".

Il secondo bando invece si pone come obiettivo quello di favorire le fasce più deboli del mercato del lavoro. Quali sono le categorie di beneficiari coinvolte?
Il bando si rivolge ai disabili, prevedendo in particolare misure di tipo sperimentale, come quella di favorire condizioni di lavoro autonomo, o la creazione di imprese, rivolgendosi nello specifico ai disabili. Pensiamo a quei lavori di tipo artigianale o a quelle attività che ricadono nell'ambito dei servizi, del commercio o dell’innovazione tecnologica. Il bando, offre la possibilità a queste persone di potersi mettere in proprio. Altre misure, sollecitate tra l'altro da molte imprese, sono quelle che permettono alle aziende, per esempio, di assicurare servizi di trasporto con cui garantire il trasferimento del lavoratore disabile, dalla sua abitazione al luogo di lavoro e viceversa. Inoltre sono previsti contributi di tutoraggio e per il telelavoro. Si tratta, dunque, di mettere a disposizione delle imprese, una serie di strutture e infrastrutture mirate a incentivare e agevolare le stesse ad assumere un lavoratore diversamente abile. Per entrambi i bandi è possibile avere delle ulteriori informazioni consultando la sezione bandi attivi del sito www.portalavoro.lazio.it.

Nei giorni scorsi avete anche presentato una proposta di legge istitutiva del reddito minimo per disoccupati, inoccupati e precari. Ci potrebbe illustrare quali sono nel dettaglio gli ammortizzatori sociali contenuti in tale disegno di legge?
Si tratta di una proposta di legge che riguarda il reddito minimo garantito, una misura innovativa che consentirà ai disoccupati, inoccupati e parzialmente occupati, e quindi precari, di usufruire per un anno di un reddito mensile di 500 euro e di programmi formativi, attraverso l'erogazione di voucher. Comprende, quindi, una forma di reddito diretto e misure di sostegno indirette. I beneficiari saranno i disoccupati di lunga data, coloro che non hanno mai lavorato e tutti quei precari che hanno perso il lavoro entro il 31 dicembre 2008, fenomeno questo soprattutto diffuso nelle donne. Per poter usufruire delle misure di sostegno previste dalla norma, è necessario essere residente sul territorio del Lazio da almeno 24 mesi e, tra i requisiti richiesti, verrà preso anche in considerazione l'indice Isee, ma non sarà questo un elemento discriminante, proprio perchè questa legge è pensata come sostegno alla persona. Nei prossimi giorni la proposta di legge verrà approvata dall'aula della Pisana, e diventerà una prima significativa sperimentazione di questo nuovo diritto di cittadinanza per il nostro Paese.

Assessore Tibaldi, la Cgil ha lanciato un allarme preoccupante: la cassa integrazione è in aumento, cresce la disoccupazione, soprattutto quella femminile, e tracolla il settore degli autonomi. E proprio in favore della occupazione femminile lei ha presentato di recente il Piano di interventi mirati a rilanciare il mercato del lavoro in rosa. Ci potrebbe illustrare quali sono le misure previste a sostegno di questa categoria?
Il Piano dovrebbe andare in giunta nei prossimi giorni e contiene una serie di misure che vanno dalla conciliazione alla creazione di nidi territoriali e di distretto. Il piano è orientato, inoltre, alle politiche di prevenzione di emersione del lavoro sommerso per le donne, e prevede percorsi di tirocinio mirati alla ricollocazione nel mercato del lavoro, dopo l'esperienza della maternità. Comprende, infine, interventi molto impegnativi rivolti alle giovani laureate e ricercatrici e a tutte coloro che rientrano nel mondo delle cosiddette professioni immateriali, che hanno a che fare con la conoscenza, il sapere e la comunicazione e che rappresentano oggi una larga fetta del lavoro moderno.
Cristina Sanna




domenica 1 febbraio 2009

In arrivo ammortizzatori sociali per i lavoratori in bilico

Il record del precariato spetta alla regione Calabria. Gli atipici di lunga durata hanno fra i 30 e i 40 anni, ma ci sono anche gli over 50, fuoriusciti dalle imprese in crisi. Sono più donne che uomini.

Gli effetti della crisi economica e la stretta sui precari della PA attuata dal ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, condurrà alla perdita del posto di lavoro per oltre 300 mila precari. Per questo il governo ha pensato ad una riforma che punta al rafforzamento degli ammortizzatori sociali e alla estensione delle tutele per coloro che ne sono privi. Le risorse già previste dall'esecutivo consentiranno di ampliare, rispetto al 2008, il bacino dei soggetti da tutelare. L’appartenenza settoriale, la dimensione di impresa e la tipologia dei contratti di lavoro, non saranno più un elemento di esclusione. Gli ammortizzatori verranno, dunque, estesi ai dipendenti con meno di 15 addetti, lavoratori del terziario, interinali, collaboratori a progetto e, a chi aveva già diritto alla indennità ma aveva superato il periodo massimo. Ne potrenno benefeciare solo i lavoratori atipici che hanno maturato un reddito che va dai 5mila ai 13mila euro. Per aiutare questa categoria il Governo sta pensando di introdurre un voucher mensile, poniamo di 1000 euro, che contenga 500 euro di reddito e 500 euro da spendere in formazione. Attualmente la proposta, contenuta nel dl anticrisi, ha superato il vaglio delle Commissioni Bilancio e Finanze della Camera e del Senato. Il provvedimento è diventato legge lo scorso 28 gennaio 2009.
Introdotti in Italia nel 1996, i contratti atipici coinvolgono una platea di circa 4 milioni di lavoratori (tra settore pubblico e privato), di cui il 43% si trova in condizioni di precarietà da oltre tre anni, il 13% da oltre dieci anni. Parliamo di circa 800 mila collaboratori a progetto, 600 mila a «somministrazione» (quelli che una volta si chiamavano interinali), 2 milioni e 250 mila lavoratori a tempo determinato, 125 mila collaboratori occasionali, 190 mila professionisti in possesso di partita Iva, tra i quali la maggior parte svolge attività in una sola azienda, per un totale del 15% dell'intera forza lavoro. Il lavoro a termine riguarda dunque 10 persone su 100, e queste diventano 24 su 100 tra i giovani e 12 su 100 tra i residenti nel Mezzogiorno.