martedì 12 maggio 2009

Flexsecurity: un modello di lavoro pensato ad hoc per le nuove generazioni

Una proposta moderna per la promozione del lavoro stabile

Approda in Senato il progetto di legge proposto da Pietro Ichino (d.d.l. n. 1481/2009) per la transizione a un regime di flexsecurity: una proposta normativa moderna sull’intero spettro della vita lavorativa, articolato secondo le vere necessità di un mercato che non privilegi più soltanto gli iper-protetti, ma sappia essere amico anche dei lavoratori flessibili. Insomma, un buon progetto. Nell’ultimo anno la proposta ha fatto, politicamente, molta strada, tanto che la lista di coloro che si sono pronunciati a suo favore è abbastanza estesa.
Il progetto, cui il disegno di legge si ispira, rientra fra quelli comunemente indicati con l’espressione “contratto di lavoro unico a stabilità crescente” e ha per obiettivo l’introduzione in Italia della flexsecurity, quel modello da tempo applicato con successo soprattutto in paesi del nord Europa. Da quando, nel 1997, si iniziò a parlare di riforma dell’articolo 18, il piano si é andato molto affinando. In sostanza il nuovo contratto di lavoro é per tutti a tempo indeterminato; in caso di licenziamento per motivi non disciplinari (e quindi non soggetto a controllo giudiziale) le imprese devono versare al lavoratore una cifra pari a una mensilità per ogni anno di anzianità di servizio. Il disegno prevede, infatti, per ogni nuova assunzione un periodo di prova di sei mesi: superato questo termine, il licenziamento per mancanza grave del lavoratore e il licenziamento discriminatorio restano soggetti al controllo giudiziale, con applicazione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Invece è sottratto al controllo giudiziale - salvo che il lavoratore abbia raggiunto i 20 anni di anzianità di servizio - il licenziamento per motivi economici od organizzativi, che resta a carico dell'azienda. In questo caso, l’impresa dovrà, dunque, indennizzare il lavoratore di un danno in cui confluiscono due componenti: quello normalmente conseguente all’interruzione del rapporto, consistente nella dispersione di professionalità specifica e nella perdita di rapporti personali con colleghi e interlocutori esterni all’azienda, e quello eventuale correlato al periodo di disoccupazione conseguente alla perdita del posto.
Il lavoratore licenziato deve sottoscrive un “contratto di ricollocazione” in virtù del quale percepisce - finché perdura la sua disoccupazione - un’indennità pari al 90% dell’ultima retribuzione per il primo anno, dell’80% per il secondo, del 70% per il terzo e del 60% per il quarto. La chiave di volta contenuta nella proposta é l'istituzione del consorzio paritetico tra aziende e sindacati: esso eroga il trattamento di disoccupazione e un servizio di assistenza intensiva per la ricerca di una nuova occupazione, con corsi di formazione e riqualificazione e attività di outplacement, a cui il lavoratore è obbligato a partecipare secondo un orario settimanale analogo a quello di lavoro praticato in precedenza. Il lavoratore può in qualsiasi momento, anche senza preavviso, rinunciare al proprio trattamento di disoccupazione, come allo stesso modo l’ente può recedere dal contratto qualora il lavoratore sia inadempiente oppure abbia rifiutato in modo ingiustificato un’opportunità di lavoro o iniziative di riqualificazione che gli siano state proposte.
Il finanziamento dell’ente bilaterale erogatore del trattamento economico e dei servizi ai lavoratori licenziati è interamente a carico dell’impresa o gruppo di imprese firmatarie del contratto istitutivo, le quali potranno peraltro avvalersi dei contributi del Fondo Sociale Europeo per le attività di informazione, orientamento e riqualificazione professionale mirata, nonché per quelle di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione. La determinazione dell’entità del contributo a carico delle imprese è disciplinata dallo Statuto dell’ente, il quale è vincolato tuttavia a prevedere un meccanismo bonus/malus che premi le imprese più capaci di praticare il manpower planning o comunque una gestione del personale che eviti i licenziamenti, e determini, viceversa, una penalizzazione delle imprese le cui politiche del personale portino a un più frequente ricorso ai licenziamenti. Il finanziamento dell’ente esonera, tra l'altro, l’impresa dalla contribuzione all’Inps per l’assicurazione contro la disoccupazione.
Il nuovo regime si applica a tutti i nuovi assunti nelle imprese interessate ad acquisire questa nuova flessibilità facendosi loro carico della sicurezza, mentre i lavoratori già in forza possono decidere a maggioranza di aderirvi.
Cristina Sanna