venerdì 29 febbraio 2008

Pastiche o travestimento: la riscrittura della politica italiana

Il termine pastiche trae le proprie origini dall'italiano, dove dall'ambito gastronomico si è esteso nel Seicento, a quello pittorico e di lì a quello letterario.[1].
Di fatto in italiano, pasticcio significava originariamente, e significa ancora oggi, un impasto ed è una derivazione suffissale del vocabolo latino pasta, come lo sono il termine tedesco Pastete e quello francese pâté[2]. Il termine è inoltre utilizzato in senso traslato, nell'accezione di "fatto poco chiaro" o riferito a una sorta di imbroglio.
In Italia la parola pastiche, caduta in disuso nella sua accezione letteraria e artistica, è ritornata come prodotto d'esportazione francese a opera soprattutto dei critici che si sono occupati del pasticheur Marcel Proust (Parigi, 1871–1922). La critica italiana ha così ripristinato il termine di pasticcio, o meglio pastiche, ignorandone però il valore assunto in secoli di utenza straniera. Succede così che nel nostro linguaggio letterario - e oggi in quello politico - si faccia una grande confusione tra l’uso dei termini maccheronico, pastiche e travestimento[3]. Il termine trova soprattutto la sua massima espressione ambigua nel dibattito politico. Ne sono un esempio le affermazioni di Daniela Santanché, candidata premier de "La Destra", espresse durante la trasmissione "In mezz'ora" condotta da Lucia Annunziata, definendo un "grande pasticcio" il Partito delle Libertà: "una sorta di reazione chimica determinata dalla presenza di personaggi che vanno da Capezzone a Giovanardi - considerati i trasformisti della destra - da Berlusconi a Fini". Allo stesso modo, anche il Partito Democratico non si è risparmiato l'attributo di pasticcio. Ne è una prova l'articolo pubblicato da Famiglia Cristiana "il pasticcio veltroniano in salsa pannelliana", con il quale si rivendica la reazione contraria dei cattolici del PD, alla scelta di Veltroni di imbarcare nelle liste anche i Radicali.
Di qui nasce l'interrogativo su quale sia la reale forma della politica alla quale stiamo assistendo. Ovvero, se si tratta di un modello pasticciato, inteso nella sua accezione originaria di impasto o inciucio, oppure di una vera e propria operazione di travestimento. Mi sembra che la strada giusta da percorrere sia la seconda opzione. Nella tradizione letteraria e linguistica, il travestimento rappresenta una tecnica di scrittura in cui la sostanza è mantenuta e si opera invece una profonda trasformazione del modello: un processo di traduzione da un registro politico ad un altro, quello che in termini attuali si potrebbe considerare una forma di riscrittura della politica italiana.
Prendendo quindi come spunto l'opera "L'Eneide travestita" nella quale l'autore Giovanni Battista Lalli (1882) si appropria della materia (la sostanza) modificandone il modello, allo stesso modo, il PD e il PdL mantengono la sostanza delle vecchie coalizioni, modificandone la forma. Per tale motivo è opportuno considerare il Partito Democratico come una specie di Unione travestita e il Partito delle Libertà come il travestimento della CdL. Due scenari politici nei quali non si è operata nessuna modifica di sostanza, bensì si è attuata una trasformazione del modello attraverso il riadattamento della sostanza data[4] . Il travestimento diventa, dunque, la tecnica adottata da entrambi gli schieramenti che, senza la necessità di mettere in campo alcunché di innovativo, rappresenta lo strumento con il quale si cerca di ri-conquistare il consenso del pubblico, oramai avvolto da un velo di cinismo verso la politica.
Cristina Sanna

[1] Rosalma Salina Borello, Testo Intertesto, Ipertesto, Bulzoni Editore, pag. 94
[2] Cifr. W. Hempel
[3] Rosalma Salina Borello, Testo Intertesto, Ipertesto, Bulzoni Editore, pag. 98
[4] Rosalma Salina Borello, Testo Intertesto, Ipertesto, Bulzoni Editore, pag. 47

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